La chiesa ha una semplice facciata a spioventi con tre porte architravate, sormontate da lunette semicircolari, le cui cornici presentano motivi decorativi noti anche nell’architettura romanica della Campania. La compatta superficie muraria della facciata è alleggerita sulla porta maggiore da una monofora, ingentilita da una elegante cornice marmorea in forma di esile colonnina a fusto liscio. Dalla chiarezza geometrica della facciata è facile intuire la suddivisione spaziale dell’interno della chiesa. Le tre porte introducono a tre navate, di cui la centrale è maggiore delle laterali.
Le tre navate della chiesa hanno absidi curvilinee, che all’esterno mostrano le sobrie ed eleganti decorazioni tipiche del romanico longobardo: archetti pensili, sorretti da mensoline con motivi vegetali e simbolici, e semplici lesene che regolarizzano geometricamente la curvilinea superficie esterna dell’abside centrale. Al centro della parete esterna di quest’ultima si apre una monofora, che per dimensioni, forma e foggia decorativa è simile alla monofora, che si apre in facciata.
IL PAVIMENTO E LE SUPPELLETTILI LITURGICHE COSMATESCHE
La pavimentazione musiva risale ai secoli XII-XIII, opera di Giacomo della famiglia romana dei Cosmati, come riferisce il Liber cum serie episcoparum, manoscritto settecentesco conservato nell’archivio vecovile di Ferentino, e opera del magister Paules, come recita l’epigrafe HOC HOPIFEX MAGNVS FECIT VIR NOMINE PAVLVS, incisa in un pluteo mosaicato, che delimita l’attuale presbiterio rialzato.
Nel mezzo della navata centrale il pavimento è rialzato in un gradino, probabile testimonianza di una perduta schola cantorum, delimitata da transenne marmoree. Di queste probabilmente si conservano esemplari in quelle mosaicate dai Cosmati con una minuta tessitura delle variopinte tassellazioni ornamentali, che sono state riadattate nella pavimentazione antistante la moderna Memoria del martire Ambrogio.
Affissi alle pareti della basilica cattedrale si possono ammirare lastre di pluteo, frammenti di cornici e pilastrini appartenenti all’antico corredo cosmatesco.
LA MEMORIA DEL PATRONO S. AMBROGIO MARTIRE
Nei restauri, conclusi nel 1905, sotto l’altare maggiore fu costruito il sacello con “fenestella confessionis”, dove custodire le reliquie venerate del Santo Patrono della Diocesi di Ferentino, il centurione Ambrogio, martire durante la persecuzione di Diocleziano nel 303, in onore del quale si celebra la festa cittadina ogni 1° maggio.
L’epigrafe incisa su una transenna cosmatesca, prima citata oltre a tramandare il nome del Maestro Paolo, responsabile dei lavori musivi, ricorda anche che ad opera del vescovo Agostino, vissuto durante il pontificato di Pasquale II (1099- 1118) le reliquie del martire Ambrogio, che erano state rinvenute al tempo di Pasquale I (917 -824), furono collocate sotto l’altare:
HOC OPIFEX MAGNVS FECIT VIR NOMINE PAVLVS /MARTIR MIRIFICVS IACET HIC AMBROSIVS INTVS / PRESVL ERAT SVMMVS PASCHALIS PAPA SECVNDVS / QVANDO SVB ALTARI SACRA MARTIRIS OSSA LOCAVIT /AECCLEA PASTOR PIVS AVGVSTINVS ET ACTOR / PRIMITVS INVENTVS FVERIT QVO TEMPORE SCS (SI L)IBET INQVIRI PASQVALIS TEMPORE PRIMI / MARTIRIS IN PVLCRO DOCVIT SCRIPTA SEPVLC.
Prima dei restauri le reliquie del Martire erano venerate sotto l’altare della “cappella” a lui dedicata, che era nella navata destra. In essa nel sec. XVI la Confraternita dello Spirito Santo esercitava il diritto del giuspatronato.
IL CANDELABRO TORTILE COSMATESCO
Di proporzioni monumentali e di raffinata fattura è l’elegante colonna tortile cosmatesca che funge da candelabro al cero pasquale e conserva ancora buona parte dell’originaria decorazione musiva. La superficie del candelabro è avvolta da fasce di tessere policrome a motivi geometrici: ai colori roso, verde e blu si associa la sfavillante luminosità dell’oro. La preziosa luce dorata, sprigionata dalla decorazione musiva, sottolinea l’andamento dinamico ondulato e verticale della colonna e la trasforma in richiamo efficace alla “colonna di fuoco”, che durante l’esodo degli Israeliti dell’Egitto nel deserto di notte indicava la strada per raggiungere la libertà nella Terra promessa.
IL CIBORIO DI DRUDUS DE TRIVIO
Di rilevante valore storico e artistico è l’architettonico ciborio, l’edicola monumentale a quattro colonne architravate, sormontate dalla cuspide, che delimita e solennizza l’altare maggiore. Datato al periodo tra il 1228 e il 1240, è opera del marmorario Drudo de Trivio, che con rara maestria ha sintetizzato l’equilibrio delle proporzioni geometriche e la leggerezza del linguaggio classico.Le quattro snelle colonne a fusto liscio sono sormontate da capitelli di pregevole fattura: sul lato sinistro sono compositi mentre sul lato destro si affiancano un capitello corinzio, e uno, quello a vista sul lato frontale, decorato da tre teste animali e da una testa di uomo dai caratteri somatici accentuati ( mento ampio, e fronte bassa, forse autorizzato dall’autore), raccordate da festoni vegetali. La raffinata tecnica esecutiva è impreziosita dal delicato uso del trapano, che incide le bianche superfici dei capitelli, creando delicati trapassi chiaroscurali. I capitelli sorreggono un architrave, decorato da una sottile ed elegante fascia musiva cosmatesca a piccole stelle e a sua volta sormontato da piccole colonne a fusto liscio con capitelli (otto per lato), le quali nel lato frontale sono alternate con colonnine tortili con decorazione musiva. Un architrave modanato a tenie aggettanti completa la prima fascia di colonnine del ciborio. Sulle facce dell’architrave maggiore del ciborio sono incise in bei caratteri due epigrafi. Quella incisa sul lato frontale, ARCHILEVITA FVIT NORWICI HAC VERBE IOH (anni)S NOBILI EX GENE (re), indica in Giovanni, arcidiacono di Norwich (Inghilterra), appartenente a una nobile famiglia di Ferentino, il committente dell’opera o forse colui che consacrò il nuovo altare: la seconda, incisa sulla superficie interna dell’architrave nel lato dell’abside, recita il seguente testo MAGISTER DRVDVS DE TRIVIO CIVIS ROMANVS FECIT HOC OPVS, documentando il nome dell’abside marmorario artefice del ciborio. Salla pianta quadrata dell’architrave la struttura del ciborio trapassa quasi insensibilmente, grazie alla dimensione aerea e luminosa della fascia sottostante, alla pianta ottagonale della cuspide, che poggia su colonnine a fusto liscio (4 per lato) ed è comoposta da lastre marmoree; i lati obliqui della cuspide ottagona poggiano in in falso su lastre di marmo incastrate negli angoli dell’architrave quadrato di base. Due lastre della cuspide provengono certamente dalle catacombe romane, come dimostrano i testi epigrafici che esse recano incisi:
(CIL X, 5897)
BENEMERENTI QVE VIXIT
VITA AETATIS SVAE ANNIS
XVIII M VIII DIEBVS XXVIII QVE FE
CIT MECV ANN III M VIII DIEBVS
XXVIII DEMETRIVS MAR
FECIT
( CIL X, 5898 )
Il riuso di elementi architettonici appartenenti a lunghi di culto più antichi venne spesso adottato nella costruzione delle chiese medievali, finalizzato a radicare la fede della comunità alla tradizione religiosa paleocristiana e altomedievale. L’ampia cuspide attagonale, tronca alla sommità, è coronata da una fascia a pianta quadrata di colonnine simili alle precendenti (quattro per lato), che sostengono a loro volta un architrave, su cui s’imposta una seconda e più piccola cuspide piramidale a base ottagonale, conclusa dal globo marmoreo sormontato dalla croce.
La ripetizione costante e ordinata della pianta quadrata e ottagonale come del numero 4 e 8 delle colonnine sui rispettivi lati del tegurium non appare fine a se stessa: essa induce a riflettere sul valore simbolico della struttura del ciborio ferentinate, non inteso solo come semplice arredo architettonico, ma come vera architettura generatrice di forme cariche di significati teologici intimamente uniti alla funzione, propria del monumento, di celebrare il Figlio di Dio, che si fa pane per nutrire e salvare l’umanità. I numeri 4 e 8 appaiono rispettivamente come riferimento ai quattro Vangeli e il secondo all’ogdoade, cioè l’ottavo giorno atteso dai padri della Chiesa, quello della Resurrezione e dell’inizio della vita senza fine, che il cristiano nella sua storia quotidiana può pregustare ogni volta che si nutre dell’Eucaresistia.
IL CIBORIO PARIETALE QUATTROCENTESCO
Pregevole è anche il ciborio marmoreo parietale del secolo XV, che è murato nella parete prossima all’abside laterale sinistra, occupata oggi dall’altare del SS. Sacramento. Il tabernacolo marmoreo originariamente doveva custodire le Specie Eucaristiche, ma nel secolo XVI era utilizzato come custodia degli Oli Sacri. Il ciborio, realizzato in bassorilievo, ha la forma di tempietto classico ed è attribuito per analogie stilistiche alla scuola di Mino da Fiesole o di Desiderio da Settignano. I due pilastrini laterali, decorati sulla loro superficie da eleganti motivi vegetali di gusto ellenistico, sorreggono con i loro capitelli compositi la trabeazione di tipo ionico, sormontata da un timpano triangolare dalle cornici aggettanti decorate da un profilo di modanature lineari. Lo spazio del piccolo frontone è occupato quasi interamente dalla colomba simbolo dello Spirito Santo, che a testa in giù, con le ali spiegate e disposte parallelamente all’architrave, scende in volo verso il basso. Il tempietto, raffigurato in prospettiva centrale è costituito da un vano rettangolare, coperto da una volta a botte, la cui superficie è occupata da quattro cherubini. Sulle due pareti laterali del vano è aperto un arco, espediente decorativo efficace per suggerire la presenza di ulteriori piani spaziali, tali da alleggerire illusionisticamente l’ambiente raffigurato. Davanti a tali archi due angeli alati, abbigliati in foggia classica con la tunica dal panneggio serico e svolazzante, fiancheggiano un monumentale tabernacolo rettangolare, sollevato da terra tramite un esile supporto e sulla cui sommità c’è l’effigie di Cristo risorto. Gli angeli, con le braccia incrociate sul petto, adorano il pane eucaristico conservato nel tabernacolo e insieme alla figura del Cristo risorto, che sormonta il tabernacolo, delineano i termini di un ideale triangolo, il cui vertice superiore coincide con la figura di Cristo, che regge la croce in segno dell’avvenuta Redenzione. Il rigore geometrico, la chiara struttura prospettica, l’eleganza delle decorazioni e dei dettagli figurativi, la raffinata tecnica tecnica esecutiva, le eleganti modulazioni chiaroscurali del rilievo schiacciato consentono all’Artefice di raggiungere pregevoli effetti spaziali e plastici, pur nella tecnica del bassorilievo, e di celebrare l’Eucarestia, la cui sacralità è ricordata anche dall’iscrizione latina, incisa sulla trabeazione dell’edicola: PINGVIS – EST – PANIS – XPI: (ricco di nutrimento è il pane di Cristo.)
Un’altra iscrizione corre alla base dell’edicola e ricorda il committente dell’opera, il Vescovo di Ferentino De Philippinis, il cui stemma sormontato dalla mitria è raffigurato nella mensola curvilinea, che funge visivamente da sostegno all’edicola marmorea.
L’ICONOGRAFIA DEGLI INIZI DEL XX SECOLO
Nel 1904 in occasione dei restauri promossi per liberare la Cattedrale dai rifacimenti barocchi, il pittorre Eugenio Cisterna (Genzano 1863 – Roma 1933) fu incaricato dall’Ordinario di allora, mons. Domenico Bianconi di realizzaere ad affresco la nuova decorazione pittorica del Duomo. L’artista rivestì le pareti della basilica con decorazioni lineari in opera isodoma e lungo le pareti della navata centrale raffigurò entro tondi i Santi titolari delle chiese ferentinati e dei centri della Diocesi. Affrescò con nuovi soggetti religiosi, scelti dalla committenza, le absidi della chiesa.
GLI AFFRESCHI DELL’ABSIDE E DELL’ARCO TRIONFALE
Di grande interesse per il loro valore catechetico sono gli affreschi del catino absidabile e dell’arco trionfale che per l’equilibrata composizione iconografica e l’armonioso accordo dei colori luminosi, sia queli freddi bianchi e azzurri sia quelli rosati riescono a comunicare con chiarezza i temi fondamentali della Storia della Salvezza.
L’affresco seicentesco dell’Incoronazione della Vergine dell’abside maggiore venne sostituito con il Cristo in maestà, ispirato all’iconografia paleocristiana del catino absidale della chiesa romana di S. Pudenziana, ma con evidenti caratteri dello stile purista di fine Ottocento. Al centro del catino absidale Gesù salvatore è seduto in trono nella veste di Cristo giudice, ma misericordioso poiché ha le braccia allargate in segno di accoglienza e mostra i fori delle mani; indossa una tunica bianca. La mandorla dell’iride, simbolo di eternità e di gloria, circonda la figura luminosa del Cristo Re, e Redentore, come si legge nell’iscrizione in caratteri neogotici che corre nell’estradosso del catino absidale. Ai piedi di Gesù ci sono due cherubini e due serafini. Il serafino di sinitra ha le ali di colore azzurro e quello di destra, invece, di colore rosso, forse richiamo al valore simbolico di tali colori: il rosso infatti rappresenta la regalità, e la natura divina del Cristo, mentre il blu ne rappresenta la natura umana. Disposti simmetricamente ai lati di Gesù sono raffigurati angeli in bianche vesti con le ali variopinte. Essi con i loro attributi e gesti aiutano a riconoscere in Gesù il Cristo Re e Signore del mondo e della storia: alcuni angeli reggono il globo decorato con la croce e con le lettere greche IC (Gesù) e (XC) (Cristo); altri reggono il Libro della legge e sono in atto di adorazione. Nuvole rosse sollevano gli angeli dal prato fiorito, dal cui centro fuoriescono i fiumi paradisiaci, che irrorano la terra, movimentando con le loro sinuose onde la base della composizione iconografica. Dietro le figure di Cristo e degli angeli è rappresentata una cinta muraria, oltre la quale emergono a sinistra la città di Betlemme, simbolo della Chiesa dei Gentili, perchè in essa giunsero i Magi per adorare Gesù, e a destra la città di Gerusalemme, simbolo della chiesa giudauca. La raprresentazione di Gerusalemme è dominata da un edificio monumetale a pianta centrale con copertura a cupola sorretta da arcate, che probabilmente riecheggia la struttura architettonca dell’Anastasis (luogo della resurrezione ) cioè l’edificio fatto costruire da Costantino per proteggere e celebrare il Sepolcro di Gesù a Gerusalemme. Nel cielo azzurro solcato da nubi rosate, le figure simboliche degli Evangelisti si dispongono in ordine simmetrico rispetto alla figura maestosa del Cristo. Sulla sommità del catino un velario variopinto, aperto a ventaglio rappresenta la presenza ineffabile del Creatore: nella sua forma semicircolare ripropone giochi visivi di corrispondenze ritmiche con la mandorla del Cristo e con il più ampio cerchio suggerito dall’arco trionfale. Nella parete absidale l’affresco presenta la raffigurazione dei Santi veneranti della comunità ferentinate per ricondurre i grandi temi della Storia della Salvezza dell’esperienza di vita personale e quotidiana del fedele: entro arcate centinate sono dipinti, a partire da sinistra, i martiri titolari della Basilica, i fratelli Romani Giovanni e Paolo, il martire Ambrogio Centurione, Patrono della Diocesi, e S. Redento, riconosciuto quale antico vescovo di Ferentino. Nell’arco trionfale campeggia la poetica rappresentazione dell’ Incarnazione, e costituisce l’evento fondamentale per la nostra adorazione a Figli di Dio, e per la Redenzione del genere umano. Al centro della parete, entro un clipeo, definito da serafini, e stelle, sono raffigurate le persone del Padre creatore benediciente, il cui volto barbato è affiancato dalle lettere apocalittiche A e Ω (alfa e omega), e la colomba mistica dello spirito santo da cui si dipartono raggi dorati che raggiungono la flessuosa figura di Maria. La Vergine è rappresentata sul lato destro, davanti a un edificio e nell’atto di consigliere un giglio del giardino fiorito, in cui Ella si trova. Ledificio alle spalle di Maria ha una porta, oltre la quale si intravede emergere dallo sfondo rosastro la sagoma scura di una donna seduta con in mano un rotolo: allusione alla consuetudine della Vergine di Nazaret alla lettura del testo sacro e alla preghiera, colloquio intimo con Dio. Sul lato opposto della parete è raffigurato l’angelo Gabriele con sei ali variopinte, il quale, sollevato da terra, sembra appena giunto in volo, spinto da un vento leggero, di cui le piccole nubi rosse suggeriscono il percorso. Le frasi evangeliche dell’Annuncio e della consapevole risposta di Maria sono dipinte in lettere cubitali dorate sull’azzurro del cielo e sottolineano l’efficacia scenica della rappresentazione. Un arcobaleno congiunge le figure dell’Angelo, di Dio Padre e di Dio Spirito con quella della Vergine, nel cui seno già palpita il Verbo incarnato. La tenda, che è raffigurata nello sfondo, assume allora il significato simbolico di richiamo all’Arca della Alleanza. La decorazione dell’arco trionfale è completata negli spazi trinagolari di risulta, fiancheggianti le reni dell’arco del catino absidale, dalle raffigurazioni dello stemma episcopale del vescovo Bianconi, a destra, e dello stemma di Pio X, a sinistra.
LE ABSIDI LATERALI
Ad Eugenio Cisterna si devono anche gli affreschi che ornano le absidi delle navate laterali. L’affresco dell’abside sinistra raffigura nel catino il cielo stellato con al vertice la conchiglia simbolo dell’Eterno; nella parete abisidale è raffigurato Gesù bambino, che con in mano il Vangelo, è seduto in trono ed è fiancheggiato da Maria e Giuseppe in piedi ai suoi lati, ricordo dell’episodio evangelico del ritrovamento di Gesù tra i dottori del tempio, primo annuncio ufficiale della figura di Gesù Maestro. Nel catino dell’abside destra è riprodotto il cielo illuminato da stelle d’oro, che sovrasta le due città di Gerusalemme e Betlemme affiancate ciascuna da una palma, visibili in secondo piano oltre il muro, che al centro ha il trono, davanti al quale è raffigurato Gesù, dalla barba e capelli lunghi, nell’atto di donare le chiavi del Regno a S. Pietro, inginocchiato alla sua destra. Un angelo dalle ali variopinte è inginocchiato alla sinistra di Gesù, in atto di reggere la mitria pontificia mentre osserva la scena del Traditio, annuncio della trasmissione della dell’autorità di Cristo al Magistero della Chiesa nel suo pontefice e nei suoi vescovi, come ricorda anche l’iscrizione latina SUPER HANC PETRAM AEDIFICABO ECCLESIAM MEAM, dipinta su una fascia d’oro nell’imposta del catino absidale.
LA SACRESTIA
La porta di accesso alla sacrestia è ornata da una sfinge e un leone stilofori, da mensole medievali in foggia di teste coronate. Tra queste di particolare interesse è quella che a tradizione vuole essere il ritratto del re Giovanni di Brienne, suocero dell’imperatore svevo Federico II: sotto il mento barbato è scolpito il muso di una civetta , classico attributo alla dea Atena e chiaro simbolo della lungimiranza e del discernimento, qualità indispoensabili per assicurare il corretto esercizio del potere. All’interno della sacrestia si conservano i pregevoli resti architettonici di un ciborio altomedievale, le cui lastre, scolpite a bassorilievo con i motivi geometrici di evidente ispirazione longobarda, evidenziano il rigoroso rispetto dell’equilibrio simmetrico della composizione unito ad un’esecuzione raffinata, frutto di maestranze legate alla tradizione scultorea paleocristiana romana. Una delle lastre del ciborio altomedievale presenta caratteri iconografici ed elementi simbolici, che la propongono come quella frontale, dell’antico ciborio. Il bel motivo a treccia, che decora la ghiera dell’arco a tutto sesto, è tipico segno allusivo all’ eterntà di Dio; negli spazi triangolari di risulta tra l’arco e i margini esterni della lastra sono raffigurati in stile naturalistico due pavoni, tradizionale simbolo paleocristiano dell’immortalità, la parte alta della lastra presenta, in fine decorazioni stilizzate di fiori di giglio e dinamiche onde ornamentali, disposte su due fasce orizzontali sovrapposte. Attraverso la chiarezza dell’astrazione geometrica e la bellezza armoniosa delle forme giunge diritto al cuore il significato salvifico della liturgia eucaristica, di cui il ciborio stesso, quale arredo architettonico evidenzia in chiave monumentale il valore sacrale. In occasione dei già citati restauri venne trasferito alla sacrestia il monumento funebre parietale settecentesco del Vescovo ferentinate mons. Fabrizio Borgia, opera del genovese Francesco Queirolo, (1705- 1762), originariamente murato dal Vescovo committente tra i due pilastri della zona presbiteriale, a destra dell’altare maggiore. Il monumento funerario del Vescovo Borgia ad un’attenta osservazione si mostra non privo di bellezza formale e di valore estetico. Esso presenta tutti i caratteri tipici della scultura barocca, quali l’uso di marmi policromi e il virtuosismo tecnico nella lavorazione del marmo. Con sapiente maestria l’artista raggiunge effetti di realismo nella resa del panneggio dei tessuti, nella definizione del busto-ritratto del defunto e delle insegne della sua dignità episcopale, nella rappresentazione plastica e dinamica degli angioletti, che attestano la certezza del gaudio eterno, e nella rappresentazione del teschio alato, allegoria della morte fisica. Lo stupore derivato dalla perfetta mimesi degli elementi raffigurati, che attraverso l’arte acquistano vitalità ed efficacia comunicativa, spinge alla riflessione morale: la morte fisica è per tutti gli uomini, anche per coloro che nella storia si trovano ad occupare posizioni eminenti, ma in ogni condizione umana la fede assicura che con la morte la vita non finisce, poiché viene trasformata.
IL CAMPANILE
Il campanile ronmanico a pianta quadrata si eregge sul limite orientale della spianata acropolica staccato dalla chiesa a breve distanza dall’abside orientale. Al suo lato meridionale è addossato l’episcopio. Di notevole altezza, la parte superiore è suddivisa in tre registri da cornici marcapiano sostenute da mensole scolpite. Sotto la cornice del primo registro (lato ovest) la muratura presenta una fascia decorativa in opera “spicata” di laterizi. Nel secondo e terzo registro su ogni lato si apre rispettivamente una bifora e una trifora con capitelli scolpiti. Il sottotetto è ornato con archetti pensili. Sotto le arcatelle cieche del sottotetto sul lato ovest c’è un’iscrizione in latino medievale, letta da Augusto Campana, in chiave apotropaica, quale scongiuro contro la caduta dei fulmini. La porta di accesso architravata e con arco di scarico a sesto acuto si affaccia sullo spiazzo delimitato dalle absidi e dal Palazzo episcopale. La voce delle campane può essere udita fino ad un raggio di cinque chilometri di distanza, soprattutto in condizioni di tempo sereno.
IL PORTICATO DELLA CATTEDRALE OTTOCENTESCA
Il lato occidentale della piazza Duomo presenta su un alto podio i resti del porticato antistante la facciata della nuova cattedrale, che il vescovo Bernardo Maria Tirabassi volle far costruire in dimensioni maggiori di quella medievale, che, rivestita della veste barocca, appariva piccola per contenere la popolazione. L’incarico di redigere il progetto della nuova catterale fu affidato all’arch. Andrea Busiri Vici ( Roma 1818 – 1911). Il progetto (1863) prevedeva uno schema basilicale a tre navate con cupola monumentale e cripta sottostante il presbiterio. Una grande scalinata avrebbe permesso l’accesso “al vestibolo, formato da un gigantesco arco sorretto da due colonne con capitelli corinzi, avente all’altezza della contro chiave in ambedue le superfici, medaglioni raffiguranti angeli accovacciati. Nell’arco, sormontato da un timpano triangolare in cui è inserito lo stemma papale di Pio IX si definisce la loggia delle benededizioni. Ai lati, due campanili gemelli, e sulla balaustra due statue di santi”. Il propsetto corrisponde ai resti in travertino del pronao visibili in Piazza Duomo (lato ovest). Per edificare la nuova chiesa tra il 1850 e il 1854 si demolì l’antico edificio esistente sul lato nord occientale dell’acropoli, di cui si conserva memoria grazie ai disegni planimetrici eseguiti a Marianna Candidi Dionigi nel 1809. Dalla planimetria e dalla descrizione dell’area lasciateci dalla nobildonna romana, si deduce la presenza di una fortificazione, caratterizzata da un edificio a pianta rettangolare allungata con torri angolari quadrate. Di tale complesso doveva far parte anche la chiesa di San Pietro Apostolo, probabilmente risalente al secolo IX, edificio non menzionato dalla Dionigi, ma noto dai documenti sin dal 113. La costruzione del moderno duomo fu interrotta nel 1865 alla morte del Vescovo Tirabassi e non più portata a termine per l’ingente spesa che essa necessitava, difficile da sostenere soprattutto dopo la presa di Roma (1870). Del progetto erano state messe in opera solo le strutture del porticato del pronao (spazio porticato antistante l’ingresso al tempio), che, fiancheggiate da pini e restaurate sul finire el sec. XX, hanno ingentilito il lato ovest della Piazza Duomo, creando una sorta di proscenio suggestivo.