La memoria del martirio di Ambrogio, rimasta viva tra i ferentinati, finalmente poté essere celebrata in piena libertà. Fu recuperato il corpo di Ambrogio e trasportato, come attesta la tradizione, nella chiesa di S. Agata, dove rimase per alcuni secoli, fino a quando le scorrerie saracene non misero in pericolo la sicurezza del luogo. Per proteggere le reliquie del Santo, i ferentinati le trasportarono nella chiesa di S. Maria Maggiore, da dove nel 1108 furono prelevate per essere collocate in un tempio più degno: la nuova cattedrale, edificata sull’acropoli dal vescovo Agostino (1106-1113).
Le venerate spoglie furono riposte nella splendida cappella intitolata al martire Ambrogio, sita nella navata destra. La cappella era abbellita da fregi cosmateschi ed era pavimentata con lastre di marmo. Nell’abside, che la chiudeva, era affrescata l’incoronazione della Vergine; altre decorazioni pittoriche erano affrescate lungo i muri. Un’elegante balaustra marmorea, opera di Paolo, marmorario romano, indicava con una sinuosa scrittura onciale il carattere sacro del luogo:
(qui dentro giace il mirabile martire Ambrogio)
L’iscrizione continua fornendo altre indicazioni. Il pontefice, sotto il quale avvenne la traslazione delle ossa di S. Ambrogio, fu Pasquale II (1099-1118), essendo vescovo (pastor pius) della chiesa ferentinate Agostino; la prima inventio (ritrovamento) delle ossa del Martire era avvenuta al tempo di Pasquale I (817-824), così come testimoniava l’autentica conservata nell’urna funeraria, che l’altare gelosamente racchiudeva. La cura della cappella di S. Ambrogio fu affidata, sicuramente dal XIII secolo, alla più antica confraternita ferentinate, quella dello Spirito Santo. La comunità cristiana di Ferentino ab immemorabili riconobbe in S. Ambrogio il suo potente protettore. Come ci testimonia la tradizione il santo Patrono nell’829 salvò con un prodigio (tramutò migliaia di lumache in un esercito di armati) la città dalle scorribande dei saraceni; intervenne a scongiurare la distruzione di Ferentino al tempo di Enrico VI di Svevia (XII sec.), figlio di Federico Barbarossa; sostenne la resistenza che i ferentinati opposero ai fratelli Giovanni e Vello Caietani, conti di Fondi, che intendevano impadronirsi della città (XIV sec.); infine scampò Ferentino dal pericolo dei terremoti, che nel XVIII secolo si verificarono nel territorio. La devozione a S. Ambrogio fu testimoniata non solo dall’edificazione della cappella a lui intitolata nella cattedrale, ma anche dall’intitolazione in S. Lucia, una delle chiese più antiche di Ferentino (XI sec.), di un altare al Martire. Quest’ultima cappella era affrescata con l’immagine del titolare attorniato da altri santi.
Nel territorio di Ferentino, nel castrum di Selvamolle nel 1328 è documentata l’esistenza di una chiesa eretta in onore di S. Ambrogio, il cui beneficiato, don Andrea, abate di S. Giovanni Evangelista, il 15 agosto dello stesso anno pagò una decima di 31 solidi e 3 denari. Tale cifra fu considerevole, se si pensa che la chiesa di S. Valentino pagò 30 solidi e quella di S. Maria Maggiore 55. Il reddito del titolo di S. Ambrogio in Selvamolle nelle esazioni del biennio 1331-1333 crollò a solidi 4 e denari 6; nel triennio 1343-1346 la chiesa di S. Ambrogio in Selvamolle non viene menzionata e l’intero beneficio è dichiarato insolvente. La devozione al santo Patrono fu così radicata nei ferentinati che ebbe suggello anche nel corpus statutario comunale. Il Podestà, al momento di essere investito della sua carica, giurava di rispettarla fedelmente (libro I, rubrica VII). Una pena di 50 libre era inflitta a chi guastava o deturpava (libro II, rubrica CXLIII).