Medaglia d’oro al valore militare. Alberto Lolli-Ghetti nacque a Ferentino il 4 maggio 1915 da Ambrogio e Lisa Sterbini; il padre era direttore delle Poste, la madre apparteneva ad una famiglia di proprietari terrieri. “Esile, non alto, riccioluto e biondo, di lineamenti delicati, ma sbarazzini, vivace, ma buono”, Alberto frequentò le scuola elementare, avendo come maestro Cesare Pinelli; si iscrisse al Ginnasio nel Collegio “Martino Filetico” di Ferentino e durante il suo corso di studi cominciò a maturare il progetto di “fare carriera nell’esercito”, dove già molti suoi familiari si facevano onore. Il padre Ambrogio, detto familiarmente Gino, di fieri sentimenti repubblicani e socialisti, educò Alberto ai doveri verso la Patria, ma anche alla difesa dei diritti del cittadino calpestati dal regime fascista, che in quel periodo governava l’Italia. Il padre gli fece leggere, già a quindici anni, I Miserabili di Victor Hugo, libro da lui definito “la Bibbia dell’Umanità”; inoltre lo educò alla pratica degli sport, specialmente l’equitazione e lo sci. Conseguita la licenza liceale presso il liceo classico di Frosinone, Alberto si iscrisse nel 1935 alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova; ma il suo desiderio rimaneva quello di diventare ufficiale del Regio Esercito ed entrare nell’arma del genio militare. Alberto “come militare voleva rendersi utile, fattivamente, concretamente e con la propria professionalità concorrere alla costruzione di strade, di ponti, di fortificazioni, alle comunicazioni, ai trasporti specie nei momenti di calamità naturali”. Nel 1936, dopo aver superato il concorso, entrò con il 118° corso nella “Regia Accademia di Artiglieria e del Genio” di Torino. Il 4 novembre 1938, prestato solenne giuramento di fedeltà al Re, Alberto divenne ufficiale effettivo del Regio Esercito ed entrava nella Scuola d’Applicazione, una scuola che preparava professionalmente e militarmente i giovani sottotenenti che la frequentavano. Nel 1940, all’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, Alberto era in procinto di sostenere gli ultimi esami; come tutti i giovani suoi coetanei esultò alla notizia e non desiderava altro che partire per dimostrare il suo valore e la sua preparazione. L’ordine tanto atteso arrivò il 13 dicembre 1940, mentre Alberto si trovava a Napoli per un periodo di addestramento: fu inviato sul fronte africano. Dopo un breve soggiorno a Tripoli, dove ebbe l’amaro presentimento che la guerra sarebbe stata lunga, Alberto si stabilì, verso la fine di dicembre, con la sua compagnia alle soglie del deserto. Tra i soldati, che con lui condividevano la triste esperienza della guerra e del deserto, ebbe la felice sorpresa di trovarne ventisei provenienti da Ferentino. L’operazione militare tanto attesa arrivò il 21 novembre 1941: un reparto della 1° Compagnia Genio Artieri d’Arresto, al comando di Alberto, fu inviato nelle prime ore del mattino, forse le quattro, oltre le linee verso Tobruk. Il reparto doveva “sminare” la zona a loro assegnata; il lavoro procedeva velocemente, quando furono attaccati di sorpresa dagli avversari. Alberto organizzò subito la difesa e, dopo quattro ore di accerchiamento, riuscì ad aprirsi un varco, liberandosi dalla morsa nemica. A questo punto Alberto si accorse che la batteria tedesca rischiava di capitolare; allora tornò indietro per prestare aiuto. Riuscì nell’intento e aiutò i soldati a mettersi in salvo, ma, mentre l’operazione “rientro” dei suoi uomini stava volgendo al termine, un proiettile di carro armato lo colpì, troncandogli quasi del tutto la gamba sinistra. “La tremenda ferita non gli impedì di combattere sinché non vide l’ultimo geniere raggiungere le linee amiche; poi cadde stremato sul duro terreno desertico, intriso di sangue e di morte”. Trasportato da un mezzo tedesco al 96° ospedale da campo, subì l’amputazione dell’arto: “rifiutò l’anestesia, per lasciare quel poco di cloroformio che rimaneva ad altri”. Tra il 24 e il 25 novembre 1941 fu trasferito all’ospedale della divisione e successivamente all’ospedale da campo n. 893 di Derna. La sua agonia terminò il 2 dicembre 1941. Motivazione Dotato di alto spirito di sacrificio, al comando di plotone artieri-minatori, si distingue per ardimento e capacità nella esecuzione, sotto continuo fuoco avversario, di lavori di approccio per l’attacco di munitissima piazzaforte avversaria. Attaccato di sorpresa da forze corazzate, mentre è intento al lavoro oltre le linee, raccoglie i propri uomini e contrattacca a colpi di bombe a mano. Successivamente, accortosi che una batteria di artiglieria sta per cadere in mano all’avversario, con felice iniziativa e generoso cameratismo, accorre col suo plotone a compiere il lavoro di disancoraggio, egli stesso impugna un attrezzo, e, geniere fra i genieri, animando il febbrile lavoro salva la batteria. Prodiga quindi ogni sua energia per disimpegnare il plotone da critica situazione, e mentre sta per raggiungere l’intento, viene colpito da proiettile di carro armato, che gli tronca una gamba. Incurante delle sue gravi condizioni, rincuora i genieri feriti e dà disposizioni per il ripiegamento. All’ospedale da campo subisce con stoica sopportazione l’amputazione della gamba, e subito dopo la grave operazione si preoccupa di scrivere al capitano comandante la compagnia, per fornirgli notizie dei genieri feriti e chiedere quelle della compagnia. Morente, pronunzia superbe parole di soddisfazione per il dovere adempiuto e sublimi espressioni di devozione alla Patria. Fulgido esempio di salde virtù militari. (Africa Settentrionale, novembre 1941).